martedì 18 febbraio 2014

Europa: pericolo deflazione

   

In un interessante articolo il New York Times viene affermato che la visione di alcuni economisti sulla ripresa della zona Euro è eccessivamente ottimistica .

Il giornale Americano vede un pericolo nella attuale deflazione, una riduzione del livello generale dei prezzi, se i funzionari del governo e banchieri centrali non prendono misure per sostenere l'economia.

Infatti l’attuale inflazione di solo il 0,7 per cento è ben al di sotto dell'obiettivo della Banca centrale europea del 2 per cento.

L'articolo conferma come la deflazione sia un fenomeno molto pericoloso perché i consumatori rimandano i loro acquisti e le imprese non investono.

Questo pericolo non può essere evitato se la banca centrale non interviene abbassando i tassi di interesse e pompando più denaro nell'economia attraverso l'acquisto di obbligazioni.


Ma questo è impedito se nessuna nuova politica verrà introdotta nella riunione della banca centrale di febbraio e rimane sconcertante l'attuale inerzia nel fornire una spinta per l'economia della zona euro da parte della banca centrale.

Sotto la pressione della Germania, i governi di tutta la zona euro si sono impegnati a tagliare la spesa e ad aumentare le tasse in uno sforzo controproducente per ridurre i loro deficit di bilancio.

Inoltre migliaia di tedeschi si sono uniti in una causa per sfidare l'autorità della banca centrale di acquistare obbligazioni emesse da governi europei bloccando un programma della banca centrale.

L’articolo conclude che la banca centrale ed i governi europei dovrebbero lavorare insieme per rilanciare l'economia della zona euro ed in mancanza di questo deve pensarci la Banca centrale.

Nostra osservazione: in Europa non dobbiamo ripetere gli errori che nel 1930 ha prolungato la Grande Depressione degli Stati Uniti a causa delle tasse e dell’austerità.

Inoltre la deflazione porta le imprese a licenziare ed i ricchi consumatori che potrebbero spendere a non spendere creando un pericoloso circuito negativo.

L’articolista del New York Times ha ragione!

Per saperne di più cliccate qui (inglese)
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