Nucleare: ineluttabile per l’Italia
Dopo decenni di ostracismo verso la produzione di energia
elettrica attraverso la fissione nucleare, il mondo sta giungendo alla
conclusione che l’obbiettivo di zero emissioni di CO2 entro il secolo non potrà
essere raggiunto senza il nucleare.
Anche l’ambizioso piano sottoscritto dall’Unione Europea prevede
la transizione verso basse emissioni di CO2 imponendo obiettivi vincolanti per
ridurre le emissioni entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990, lasciando
libertà alle nazioni di concordare l’uso di energia atomica sotto stringenti
misure per la sicurezza.
L’Italia sta orientandosi verso una revisione della politica
ostativa verso la costruzione di centrali atomiche anche perché nonostante gli
ingenti investimenti sulle energie rinnovabili per soddisfare il proprio
bisogno, è ancora costretta ad importare decine di terawattora all’anno per
soddisfare il proprio fabbisogno (54 terawattora importati contro 3,3 TWh
esportati nel 2023), come rilevabile dall’ultimo rapporto Terna.
Inoltre, i dati Eurostat (vedi bibliografia) riportano che i maggiori importatori netti di elettricità nel 2022 in ordine di importanza sono stati in TWh: Italia (42,79), Francia (15,1), Finlandia (12,5) e Ungheria (12,1).
In questo senso la Francia è un
caso interessante essendo stata da sempre una importante esportatrice di
energia elettrica ma, la combinazione di problemi di manutenzione nelle
centrali nucleari oltre alle condizioni climatiche avverse, hanno portato la
Francia per la prima volta a diventare temporaneamente un netto importatore di
energia elettrica assorbendola dalla rete europea. Diversamente, l’Italia ha da
sempre compensato la sua insufficiente produzione con importazioni nette di
energia e sempre in crescendo. Per confronto, nell’anno 2019 l’importazione fu
di 20 TWh, quindi più che raddoppiata in 3 anni.
Va subito osservato che il
fenomeno dipende essenzialmente da due fatti, l’elevato uso di energie
variabili e la speculazione per gli acquisti dalla borsa Europea che si
effettuano durante l’anno, quando l’energia conviene importarla in certi
momenti, se costa meno che produrla.
Per l’Italia è largamente
prevalente l’importazione per compensare la bassa produzione delle rinnovabili
durante il periodo invernale come dimostrato dall’andamento proporzionale
dell’aumento delle importazioni insieme all’aumento dell’impiego di fonti
rinnovabili.
Questa analisi evidenzia la
vulnerabilità dell’approvvigionamento elettrico di un grande Paese come
l’Italia e che ci fa ricordare il blackout del 28 settembre 2003 che spense
l’intero Paese per quasi un’intera giornata con conseguenze devastanti per la
semplice interruzione di un cavo d’alta tensione che collegava l’Italia con la
Svizzera mentre l’Italia stava importando energia dalla rete europea.