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L’ingegnere italiano che portò l’Italia nel futuro: dai microprocessori Eledra 3S all’era Intel
Ingegnere Ettore Accenti al CERN
Un’intervista esclusiva a Ettore Accenti. Pioniere dei
pionieri della rivoluzione tecnologica in Italia. Ingegnere e imprenditore, ha
segnato la storia dell’informatica italiana. Fondatore di Eledra 3S negli anni
’60, ha portato i microprocessori Intel in Italia negli anni ’70 e reso
accessibili i computer Amstrad negli anni ’80, collaborando con aziende leader
del settore.
Ettore Accenti, ingegnere e imprenditore, ha segnato la
storia dell’informatica italiana. Fondatore di Eledra 3S negli anni ’60, ha
portato i microprocessori Intel in Italia negli anni ’70 e reso accessibili i
computer Amstrad negli anni ’80, collaborando con aziende leader del settore.
Ho incontrato Ettore Accenti, ingegnere e fondatore di
Amstrad Italia, in un grigio pomeriggio di febbraio. La nostra chiacchierata si
è subito trasformata in un viaggio storico: un racconto che inizia a Milano,
alla fine degli anni Sessanta, attraversa gli Ottanta e arriva ai giorni
nostri, testimoniando in prima persona gli eventi che hanno forgiato la Silicon
Valley.
La nascita dell’industria elettronica, lo sviluppo
tecnologico e le storie di visionari che trasformarono la Valle di Santa Clara
nel Sancta Sanctorum della tecnologia. Decisioni rivoluzionarie – come quella
di Intel di abbandonare le memorie per concentrarsi sui microprocessori –
vennero prese nelle stanze “segrete” dei colossi del settore, plasmando il
futuro digitale. Scienziati, inventori e trilioni di dollari hanno catapultato
il mondo nella rivoluzione informatica, partendo da una terra un tempo dominata
da frutteti. In sole due ore di intervista, Accenti mi ha trasportato, con il
pathos del suo racconto, in quegli ambienti, facendomi scoprire storie e
persone che altrimenti sarebbero rimaste nell’ombra.
L’ingegnere Accenti incarna le qualità esemplari degli
italiani: l’intraprendenza milanese, l’anarchia creativa napoletana, la tenacia
dei meridionali e l’ingegno di una consorte siciliana. Questo mix spiega i suoi
successi, nonostante un contesto spesso poco favorevole. Ma come ebbe inizio
questa avventura? Scopriamolo insieme.
Nato a Milano in una famiglia di ingegneri, coltivò fin da
piccolo una passione viscerale per la tecnologia, accompagnata dall’amore per
la fotografia. Dopo il liceo, all’Istituto Zaccaria, si iscrisse al Politecnico
di Milano. La scintilla definitiva si accese durante le scuole medie, quando,
leggendo un libricino divulgativo, scoprì le onde hertziane e realizzò il suo
primo ricevitore radio.
Negli anni in cui, all’Università di Berkeley, prendeva
forma il movimento del Sessantotto – che in Italia culminò con l’autunno caldo
– Accenti, a Milano, saldava transistor, replicando in piccolo la rivoluzione
tecnologica d’oltreoceano. Collaborando con una rivista di elettronica, si
immerse nello studio dei semiconduttori, i materiali alla base dei transistor
che di lì a poco avrebbero sostituito le ingombranti valvole termoioniche. Fu
così che ebbe inizio la sua missione: trasformare l’Italia da spettatrice a
protagonista dell’era dei microchip.
Per colmare le lacune dell’editoria hobbistica, utilizzò le
“replay card” – cartoline prestampate per richiedere dati tecnici alle aziende.
Grazie a questo sistema, ottenne manuali e componenti da aziende come Philips e
SGS, realizzando progetti pionieristici. Ma il salto definitivo arrivò con
Intel.
Carlo: Ingegnere, come iniziò la collaborazione con Intel?
Accenti: Nell’agosto del 1969, leggendo la rivista
“Electronics“, scoprii la neonata Intel, fondata da Robert Noyce e Gordon Moore
a Mountain View. Da amministratore di Eledra 3S, inviai una lettera – scritta
dalla mia segretaria, futura moglie e studentessa alla Bocconi – per propormi
come loro rappresentante in Italia.
Carlo: Parliamo di Robert Noyce, co-inventore del circuito integrato, e di Gordon Moore, padre dell’omonima legge?
Accenti: Esatto. Dopo mesi di silenzio, mi chiamò Jean
Paulsen di Intel Europa. Organizzammo un incontro a Milano e, nonostante le
titubanze iniziali, ottenni un periodo di prova di tre mesi e la documentazione
per due prodotti: la memoria i3101 e la Silicon-MOS da 256 bit.
Carlo: Ha conosciuto i giganti dell’informatica?
Accenti: Certo. Oltre agli affari, volevo scoprire le
persone dietro i nomi, le cui storie sono leggendarie. Conosci la vicenda di
Noyce e Moore?
Carlo: Racconti Ingegnere.
Accenti: William Shockley, premio Nobel per la Fisica nel
1956, lasciò i Bell Labs nel 1955 per fondare a Mountain View la Shockley
Semiconductor. Tra i primi assunti vi furono Gordon Moore (chimico) e Robert
Noyce (fisico), che nel 1957 abbandonarono l’azienda insieme ad altri sei
colleghi, gruppo noto come gli “8 traditori”, per fondare la Fairchild
Semiconductor. Nel 1968, Noyce e Moore lasciarono anche Fairchild per creare
Intel. Altri ex Fairchild, come Jerry Sanders, fondarono AMD nel 1969, mentre
National Semiconductor, esistente dal 1959, reclutò talenti proprio da
Fairchild.
Carlo: Avviata la collaborazione, è mai volato in America,
alla sede di Intel?
Accenti: Sì, già nel primo anno andai in California per
incontrare i fondatori di Intel. Partecipai anche a incontri in Italia con
dirigenti della stessa azienda, ma l’esperienza più significativa fu quella a
Mountain View.
Carlo: Chi incontrò alla Intel?
Accenti: Oltre a Noyce e Moore, incontrai Bob Graham, il
marketing manager. In Italia, negli uffici della mia azienda, ricevetti visite
da Mike Markkula, Ted Hoff e Stan Mazor.
Carlo: Markkula è una figura chiave. Quale ruolo ricopriva?
Accenti: Markkula era sales manager di Intel, ma la svolta
arrivò nel 1976, quando investì 250.000 dollari in Apple, salvando Jobs e
Wozniak dal fallimento. Senza di lui, Apple come la conosciamo oggi forse non
esisterebbe.
Carlo: All’inizio Intel produceva memorie, non processori.
Si imbatté in problemi tecnici?
Accenti: Esatto. All’epoca il Dr. Federico Faggin non era
ancora arrivato in Intel. Come per ogni innovazione, non mancarono intoppi. Hai
mai sentito parlare del “Soft Error”? Alcune aziende, come Honeywell,
sostituivano le vecchie memorie magnetiche con i nostri chip, più compatti ed
efficienti. Seguivo personalmente i test fino alla consegna al cliente, ma
Honeywell iniziò a restituire le i1103, giudicate difettose. Sostituivo i chip
e li inviavo per analisi, mentre Intel li dichiarava funzionanti. Dopo sei
mesi, scoprimmo che il problema era causato dai raggi cosmici, particelle che,
attraversando l’atmosfera, alteravano la carica elettrostatica dei chip,
trasformando un bit da 1 a 0. La soluzione fu schermare i chip dalle
radiazioni.
Carlo: Raggi cosmici? Incredibile. E in Italia, come reagì
il mercato?
Accenti: Distribuivo memorie Intel a clienti come Olivetti,
Siemens e Selenia. Il mercato italiano era strategico per loro: i dirigenti
Intel venivano spesso qui. Ricordo un episodio esilarante.
Carlo: Lo Racconti!
Per gentile concessione dell’ing. Ettore Accenti
Accenti: Nel 1970, accompagnai Gordon Moore, Ed Gelbach e Tom Lawrence alla Olivetti di Ivrea. Ero alla guida della mia Alfa Giulietta a 160 km/h sull’autostrada Milano-Torino, quando udii dal sedile posteriore gridare: “Ettore!!! Se non rallenti ti togliamo la rappresentanza! In questa auto stai trasportando metà del quartier generale Intel!”
Per gentile concessione dell’ing. Ettore Accenti
Carlo: Intel, da pioniera, ha sempre avuto successo?
Accenti: Negli anni ’70, con il mercato delle memorie saturo
e la concorrenza in crescita, Intel cercò nuovi sbocchi puntando sul settore
degli orologi al quarzo. Acquistò la “Microma”, un’azienda specializzata in
orologi elettronici a cristalli liquidi. Robert Noyce mi mostrò il suo primo
orologio al quarzo, con una precisione di pochi secondi all’anno e un design
futuristico, ma a 200 dollari si rivelò un cattivo affare. Io, con Eledra 3S,
ne acquistai un lotto ma il progetto fallì.
Carlo: E con Apple? Collaborò con Steve Jobs?
Accenti: Nel 1979 incontrai Mike Markkula, ex Intel e
investitore di Apple, allora CEO dell’azienda della “mela morsicata”. Avviammo
una partnership per l’Apple II in Italia evitando conflitti con Iret, l’altro
distributore italiano. L’Apple II decollò, mentre l’Apple III, causa circuiti
difettosi e problemi di surriscaldamento non ebbe il successo meritato. Nel
1983, con Jobs emarginato e le attività sospese, intentammo una causa che si
concluse con un accordo vantaggioso. Deluso, riorientai le attività verso nuove
collaborazioni, trasformando la sede Apple di Milano in una divisione “Computer
Professionali” e, nel 1984, raddoppiammo il fatturato.
Carlo: Qual è stato il giro d’affari di Eledra 3S?
Accenti: Nel 1984 il Gruppo Eledra raggiunse un fatturato di
svariati miliardi di lire.
Carlo: Incredibile! Ma tornando a Intel, non abbiamo ancora
menzionato i suoi prodotti di punta: i microprocessori.
Accenti: Durante la mia visita nel 1970 allo stabilimento
Intel di Mountain View, dopo aver sottoscritto un patto di riservatezza, il Dr.
Moore e il Dr. Noyce mi mostrarono un prototipo rivoluzionario: una ROM
cancellabile con raggi UV. Il Dr. Dov Frohman, suo inventore, me ne illustrò il
funzionamento.
Carlo: Quindi assistette alla nascita delle EPROM?
Accenti: Sì. Quel prototipo divenne l’EPROM i1702 da 256
bit. All’epoca, il Dr. Faggin era appena arrivato in Intel dalla Fairchild, e
il microprocessore non era ancora stato realizzato. Il mercato restava quello
delle memorie.
Carlo: Ma quando nacque il primo microprocessore Intel?
Accenti: Nel 1971, con l’Intel 4004, creato da Faggin, Hoff e Mazor. Inizialmente fu sottovalutato: i volumi di vendita erano irrisori rispetto alle memorie. Addirittura, Intel lo offriva come bonus per incentivare gli ordini di chip! La svolta arrivò nel 1986, quando Andy Grove, presidente della Intel, in vacanza in Austria, decise di abbandonare la produzione di memorie per concentrarsi esclusivamente sulla produzione di microprocessori.
Carlo: Quindi fu sufficiente questo passaggio per far
diventare Intel un colosso?
Accenti: Non solo. Il Crush Program, ideato dal capo
marketing Bill Davidow, fu decisivo. Negli anni ’80, Intel era in crisi:
Motorola dominava con il suo 68000 e Zilog, fondata da Faggin dopo aver
lasciato Intel, con lo Z80. I clienti preferivano le loro CPU a 16 bit rispetto
alle nostre a 8 bit (8008, 8080, 8085). Nove su dieci sceglievano i rivali.
Carlo: E come reagì Intel?
Accenti: Con il Crush Program: un piano segreto per
annientare la concorrenza. Mobilitammo tutti, dai distributori come Eledra 3S
fino ai vertici, come Grove. Per clienti strategici, quali Olivetti,
organizzammo squadre pronte a intervenire in 24 ore. L’obiettivo era
presentarci come partner di sistema, non solo fornitori. Rivelammo una roadmap
con la serie x86 (286, 386, 486… Pentium), software retro compatibili, ma
ancora su carta. Un azzardo geniale: promettemmo compatibilità futura per
ridurre i costi di sviluppo.
Carlo: Ma come riuscì Intel a convincere i suoi clienti con
prodotti inesistenti?
Accenti: Con la fiducia. Intel aveva già creato board
prototipali e sistemi di sviluppo. Svelammo i piani x86 sotto accordi di
riservatezza. I tecnici dovettero realizzare ciò che il marketing aveva
promesso. E ci riuscirono: in un anno conquistammo 2.000 clienti, il doppio del
previsto. Olivetti adottò l’8086, mentre Motorola e Zilog furono colte alla
sprovvista. Quella visione trasformò Intel nel gigante di oggi.
Carlo: Passiamo a un altro successo: la nascita di Amstrad
Italia. Quali sfide affrontò in quel periodo?
Accenti: Nel 1987, noi distributori navigavamo a vista.
L’aumento della concorrenza giapponese e la decisione dei produttori di aprire
filiali dirette nei principali Paesi ci resero la vita difficile. In Italia, la
svalutazione della lira, il finanziamento del credito clienti e un tasso di
cambio del dollaro sfavorevole ci costringevano a grandi sacrifici. Olivetti,
nel 1983 manifestò interesse per la mia azienda, quindi valutai una joint
venture. L’accordo si concretizzò solo nel luglio 1986, anno di crisi globale:
Olivetti, grazie ad un aumento di capitale, entrò in Eledra come partner con il
49%, ma fraintese il nostro modello di business. Eravamo un distributore di
servizi, non un trader. I prezzi erano fissati dai contratti con i produttori,
e il nostro guadagno derivava da accrediti fissi, non dalla speculazione.
Carlo: Cosa portò al collasso della joint venture?
Accenti: Continuarono i conflitti: mi accusarono di non
saper “acquistare”, confondendo i contratti di accredito con la compravendita.
Olivetti pretese liquidazioni insensate e bloccò persino un’offerta di
salvataggio da un grande distributore internazionale, chiedendomi le
dimissioni.
Carlo: Ma come la fenice è rinato dalle ceneri della sua
azienda!
Accenti: Rifiutai una proposta tedesca e scelsi Alan Sugar
per lanciare Amstrad Italia. Fu un’avventura intensa di tre anni, seguita da
altri tre come vicepresidente di Memorex-Telex.
Carlo: In quanto tempo organizzò Amstrad Italia e quali
risultati raggiunse?
Accenti: Dopo aver lasciato Eledra, creai Amstrad Italia da
zero in solo tre mesi. In tre anni raggiungemmo un fatturato di centinaia di
miliardi di lire, dimostrando che l’innovazione poteva vincere anche in un
mercato turbolento.
Carlo: Siamo giunti alla conclusione dell’intervista. La
ringrazio per il tempo che ci ha dedicato. Vorrei porle un’ultima domanda:
avendo conosciuto, collaborato, e stretto amicizia con figure storiche
dell’informatica come Gordon Moore, Robert Noyce, Mike Markkula, Steve Jobs e
Steve Wozniak, potrebbe condividere con noi un tratto distintivo della loro
personalità?
Accenti: Steve Jobs era un visionario e un genio del
marketing, capace di anticipare i desideri delle persone. Tuttavia, poteva
risultare divisivo nella leadership e necessitava del supporto tecnico di Steve
Wozniak, il vero genio dietro i primi computer Apple. Robert Noyce, invece, era
sobrio e accessibile, combinando un rigoroso approccio scientifico con una rara
umanità. Mike Markkula riconobbe subito il potenziale dell’Apple II e contribuì
significativamente alla crescita di Apple, investendo personalmente e fornendo
una guida strategica all’azienda.
Carlo: e per restare in tema, ha conosciuto anche Jack
Tramiel, vero?
Accenti: Sì. La mia azienda fu tra i principali distributori
del Commodore 64. In quegli anni, fatturammo diversi miliardi di lire grazie a
quel modello. Tramiel mi invitò, insieme alla mia famiglia, a Los Angeles per
una cena di lavoro, accompagnato dal suo direttore commerciale.
Carlo: Ingegnere, non posso che ringraziarla a nome mio e
del pubblico che leggerà questa intervista, tanto piacevole quanto ricca di
spunti.
Oggi, l’ingegnere Ettore Accenti, oltre a vantare un
glorioso passato, è attivo come consulente per piccole e medie imprese,
collabora con diverse Università e scrive articoli e interessantissimi libri,
disponibili per l’acquisto sulle principali piattaforme online.
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