UNO STORIA VERA MAI RACCONTATA PRIMA
Ora che i 4 figli e i dieci nipoti sono grandicelli abbastanza, posso rivelare pubblicamente un mio segreto scolastico riferito alla mia maturità del liceo scientifica dell’anno 1960, ben prima della rivoluzione studentesca del 1968.
Premetto subito che la superai quella maturità, ma ad
ottobre, come si usava allora, rimandatomi con ignominia. Sia chiaro, la mia
non fu una motivazione politica, ma una decisione volontaria motivata da miei
personalissimi motivi di calcolo scientifico. Ero un modello di studente fin
dalle elementari ma solo per le materie scientifiche, ma solo un perfetto
somaro per la parte letteraria che non mi piaceva e studiavo pochissimo.
Per tutto il liceo minimizzavo il mio tempo per lo studio
non scientifico, italiano e particolarmente latino, mentre mi concentravo
sull’amatissima matematica e fisica. Quando mia madre, dopo aver parlato con i
professori delle materie scientifiche, tornava a casa riportando a mio padre il
dialogo con i professori praticamente diceva che ero da premio Nobel. Quando
tornava dopo la conversazione col professore di lettere, la paghetta
settimanale mi veniva sospesa per un mese; praticamente il professore le garantiva
che sarei stato respinto a giugno, fatto che non accadde mai anche perché
all’ultimo trimestre qualcosa di lettere leggevo, anche se molto stancamente.
In quel mio modo di procedere in terza liceo riuscii a
prendere in latino il voto più basso in assoluto mai attribuito ad uno studente
nel secolo di esistenza dell’Istituto Zaccaria di Milano, almeno così mi disse
il direttore dell’Istituto a cui fui mandato dal professor: il voto era uno
zero con davanti venti meno!
Il fatto fu una totale incomprensione tra il professore di
lettere ed il sottoscritto. Avevo scoperto che per tradurre per iscritto brani
dal latino all’italiano risparmiavo molto tempo se rileggevo il testo latino
diverse volte fino a comprenderne il senso e poi scriverlo giù in italiano per quello
che avevo capito e senza nemmeno aprire il vocabolario. La cosa mi era andata
abbastanza bene diverse volte e quindi proseguii con quel metodo fino a quando,
sbagliando alla grande, tradussi una guerra Punica in un pascolo di pecore.
Le mie spiegazioni al professore che non era per prenderlo
in giro, ma era stato un mio grande svarione nel capire il brano leggendolo.
Non ci fu verso, i miei genitori, ambedue, chiamati dal direttore, garanzia
matematica del mio respingimento a giugno, paghetta sparita per sempre ecc.
ecc.
Naturalmente il professore di lettore non riuscì a
respingermi ma solo rimandarmi ad ottobre perché per respingermi occorreva la
maggioranza dei professori e persino quello di ginnastica votò a mio favore.
Ma veniamo alla maturità a cui giunsi avanti un anno perché
i miei mi fecero cominciare le elementari a 5 anni, forse perché già da allora
si illudevano d’aver originato un genio che certamente non ero.
Allora alla maturità si portavano gli ultimi 3 anni, non
come ora solo l’ultimo e, col mio metodo di ottimizzare il tempo di studio,
valutai cosa studiare o cosa meno. Alla fine, conclusi che non dovevo perdere
tempo per l’inglese mentre dovevo concentrami su italiano e un po’ il latino
che, tra l’altro, superai incredibilmente bene compresa la traduzione dal
latino all’italiano utilizzando, questa volta, il vocabolario.
L’inaspettata tragedia successe all’orale delle materie
scientifiche, il primo delle due sezioni in cui erano divise le interrogazioni.
Cosa che non potevo prevedere, l’inglese, materia secondaria per quella
maturità, era stata agganciata in coda alla prima interrogazione dopo
matematica, fisica e scienze.
L’orale era pubblico e vi assistevano i miei compagni ed il
professore dello Zaccaria che ci accompagnavano e chi interrogava erano i
professori e le professoresse di quelle materie compresa la professoressa di
inglese. Passati matematica, fisica e scienze a dir poco meravigliosamente con
complimenti, mi toccò rispondere alle domande della professoressa di inglese.
Nel mio piano per l’inglese avevo previsto di fare scena muta da panico, di
inventarmi qualcosa di emozione ecc. ecc., solo che quella professoressa aveva assistito
alle mie sfolgoranti performance scientifiche e non poteva certo credere a mie
scene da panico. Ricordo come fosse ora che quella poveretta fece di tutto per
tirarmi fuori qualche parola fino al punto della sua disperazione e potermi
mandare via col minimo mi disse: “va bene, dimmi gli autori inglesi che port!”.
Io non avevo aperto nemmeno il programma e non riuscii a nominarne neanche uno,
feci la scena più muta che non si può, ma non per emozione, ma perché quei nomi
non li ricordavo proprio.
Ci fu l’intera commissione che mi sgridò e, quel che fu
peggio, essendo il primo ad essere interrogato in ordine alfabetico, sia il mio
professore sia i miei compagni è mancato poco che mi linciassero una volta
finita l’interrogazione.
Per concludere, comunque ad ottobre superai la maturità dopo
un’estate a studiare inglese e, a giugno, per castigo mi mandarono ad ottobre
anche in italiano che, per la verità, avevo superato abbastanza bene ed anche
già ben preparato.
Entrai così ancora diciottenne al Politecnico di Milano
dove, per fortuna, non mi tormentavano più studi umanistici, italiano, lingue e
… alla fine mi sposai un’umanista laureata in lingue alla Bocconi che da
cinquanta anni mi tedia con le sue nozioni di letteratura, arte e con cui ho
litigato in tutti i nostri numerosi viaggi all’estero perché io volevo visitare
musei scientifici e lei dei noiosissimi centri di arte o storia che mi facevano
annoiare a morte.

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