La documentazione che segue fu pubblicata sul settimanale italiano “LA TRIBUNA ILLUSTRATA” del 28 novembre 1937 ed illustra la condanna a morte di una donna (Archivio storico Ettore Accenti).
(testo tratto dall’immagine originale)
Terribile come pochi il processo che si è svolto sul finire
d’ottobre in Francia. Davanti alle Assise di Duail! Si è concluso del resto con la condanna a
morte dell’imputata Josephine* Mory, una donna ormai avanti negli anni con
tutti i capelli grigi. Il pubblico, che le era ostilissimo, ha applaudito la
sentenza ma è quasi certo che sarà graziata essa allora finirebbe l’esistenza
in prigione, ma non sul patibolo
Il figlio unico
La sua colpa, in realtà, aveva parecchi aspetti
particolarmente odiosi. La suddetta Josephine Mory, esercendo col marito un
piccolo negozio, aveva raggranellato qualche risparmio ed aveva dato una
discreta posi zione al figlio. Era stata quindi irritatissima perché questo
aveva sposato una ragazza popolana e senza dote, di costumi irreprensibili.
E un giorno la terribile la suocera strangolò la nuora,
sorprendendola nel sonno e fabbricando poi tutta una meticolosa messa in scena
per far credere che l’infelice si fosse impiccata. Come non bastasse esisteva
quest’aggravante che la giovane donna stava per essere madre. Il misfatto
rivelò davvero una grand ferocia, ma dimostrò anche la mentalità tipica di
quelle famiglie che adottano il così detto «sistema del figlio unico». Vogliono
un figlio solo e non cerano altro che il
suo benessere materiale...
Parecchi giornali hanno protestate contro la grazia concessa
alla Mory e contro l’assurdo privilegio per il quale le donne condannate a
morte ricevono sempre la commutazione di pena. Noi a questo proposito noteremo
una coincidenza che ci pare sia sfuggita anche ai giornali parigini. Proprio
quest’anno si sono compiuti i 50 anni dal giorno in cui una donna, in Francia,
salì il palco della ghigliottina. Infatti questo avvenne il giorno 24 gennaio
1887, Il misfatto punito con tale esecuzione era anche più odioso di quello che
ha originato il recente processo di Duai.
Certa Georgette Lebon, maritata Thomas, abitava col marito e
una figlia, in una fattoria di Selle-Saint-Denis. La madre di lei per lungo
tempo era stata a servizio presso varie famiglie poi ormai vecchia si era
ritirata presso la figlia, portando con sé le proprie modestissime economie:
poco più di trecento franchi! La figlia, snaturata, avida di appropriarsi di
quel denaro e stanca di mantenere la povera vecchia ormai quasi incapace di
lavorare, tentò da prima di farla internare in un manicomio facendola passare
per debole di mente. Non essendovi riuscita, aizzò il proprio marito e due
fratelli contro la povertà e ottenne la loro complicità al suo sanguinoso
disegno.
Un giorno, sulla fine di giugno del 1886, nella fattoria, fu
acceso appositamente un grosso fuoco e la disgraziata vecchia fu spinta tra le
fiamme fino a che vi morì tra spasimi atroci …. Poi gli snaturati andarono dal
sindaco a denunciare che la vecchia, molto debole, presa da uno svenimento, era
caduta sulle legna ardenti trovandovi la propria fine.
Un sopralluogo del medico bastò per comprendere come questa
narrazione fosse menzognera: i quattro colpevoli furono subito arrestati e poi
processati. Uno dei figli venne condannato alla prigione a vita l’altro
condannato a 20 anni di lavori forzati. La figlia e il di lei marito alla pena
di morte. A quel tempo era Presidente della Repubblica Jules Grevy che aveva
sempre fatto grazia alle donne condannate alla ghigliottina, ma questa volta la
rifiutò.
Georgette Lebon fino all’ultimo aveva sperato in tale
grazia. Invece alle 5 e mezzo del 24 gennaio 1887 fu destata ed ebbe la
comunicazione che doveva espiar con la vita. Parve che stesse per svenire e per
un certo tempo fosse scossa da un tremito nervoso. Mormorava «Ma dal momento
che ho chiesto perdono...»
Fu condotta al patibolo con le forme prescritte dal Codice
francese. In un apposito articolo che dice così «Il colpevole condannato a
morte per parricidio verrà condotto sul luogo dell’esecuzione in camicia, a
piedi nudi, e la testa coperta da un velo nero» (Si badi che tale articolo è
ancora in vigore). Una folla enorme era accorsa ad assistere al supplizio.
Mentre saliva la scaletta la condannata ripeteva: «Ma ho chiesto perdono. Mia
madre era così vecchia... Ho chiesto perdono». Alle ore 7 di quel lontano
mattino giustizia era fatta.
Mario Rocca”



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