martedì 20 maggio 2025

UNA DONNA SUL PATIBOLO NELL’ANNO 1937

 La documentazione che segue fu pubblicata sul settimanale italiano “LA TRIBUNA ILLUSTRATA” del 28 novembre 1937 ed illustra la condanna a morte di una donna (Archivio storico Ettore Accenti).

(testo tratto dall’immagine originale)

UNA DONNA SUL PATIBOLO

Terribile come pochi il processo che si è svolto sul finire d’ottobre in Francia. Davanti alle Assise di Duail!  Si è concluso del resto con la condanna a morte dell’imputata Josephine* Mory, una donna ormai avanti negli anni con tutti i capelli grigi. Il pubblico, che le era ostilissimo, ha applaudito la sentenza ma è quasi certo che sarà graziata essa allora finirebbe l’esistenza in prigione, ma non sul patibolo

Il figlio unico

La sua colpa, in realtà, aveva parecchi aspetti particolarmente odiosi. La suddetta Josephine Mory, esercendo col marito un piccolo negozio, aveva raggranellato qualche risparmio ed aveva dato una discreta posi zione al figlio. Era stata quindi irritatissima perché questo aveva sposato una ragazza popolana e senza dote, di costumi irreprensibili.

E un giorno la terribile la suocera strangolò la nuora, sorprendendola nel sonno e fabbricando poi tutta una meticolosa messa in scena per far credere che l’infelice si fosse impiccata. Come non bastasse esisteva quest’aggravante che la giovane donna stava per essere madre. Il misfatto rivelò davvero una grand ferocia, ma dimostrò anche la mentalità tipica di quelle famiglie che adottano il così detto «sistema del figlio unico». Vogliono un  figlio solo e non cerano altro che il suo benessere materiale...

Parecchi giornali hanno protestate contro la grazia concessa alla Mory e contro l’assurdo privilegio per il quale le donne condannate a morte ricevono sempre la commutazione di pena. Noi a questo proposito noteremo una coincidenza che ci pare sia sfuggita anche ai giornali parigini. Proprio quest’anno si sono compiuti i 50 anni dal giorno in cui una donna, in Francia, salì il palco della ghigliottina. Infatti questo avvenne il giorno 24 gennaio 1887, Il misfatto punito con tale esecuzione era anche più odioso di quello che ha originato il recente processo di Duai.

Certa Georgette Lebon, maritata Thomas, abitava col marito e una figlia, in una fattoria di Selle-Saint-Denis. La madre di lei per lungo tempo era stata a servizio presso varie famiglie poi ormai vecchia si era ritirata presso la figlia, portando con sé le proprie modestissime economie: poco più di trecento franchi! La figlia, snaturata, avida di appropriarsi di quel denaro e stanca di mantenere la povera vecchia ormai quasi incapace di lavorare, tentò da prima di farla internare in un manicomio facendola passare per debole di mente. Non essendovi riuscita, aizzò il proprio marito e due fratelli contro la povertà e ottenne la loro complicità al suo sanguinoso disegno.

Un giorno, sulla fine di giugno del 1886, nella fattoria, fu acceso appositamente un grosso fuoco e la disgraziata vecchia fu spinta tra le fiamme fino a che vi morì tra spasimi atroci …. Poi gli snaturati andarono dal sindaco a denunciare che la vecchia, molto debole, presa da uno svenimento, era caduta sulle legna ardenti trovandovi la propria fine.

Un sopralluogo del medico bastò per comprendere come questa narrazione fosse menzognera: i quattro colpevoli furono subito arrestati e poi processati. Uno dei figli venne condannato alla prigione a vita l’altro condannato a 20 anni di lavori forzati. La figlia e il di lei marito alla pena di morte. A quel tempo era Presidente della Repubblica Jules Grevy che aveva sempre fatto grazia alle donne condannate alla ghigliottina, ma questa volta la rifiutò.

Georgette Lebon fino all’ultimo aveva sperato in tale grazia. Invece alle 5 e mezzo del 24 gennaio 1887 fu destata ed ebbe la comunicazione che doveva espiar con la vita. Parve che stesse per svenire e per un certo tempo fosse scossa da un tremito nervoso. Mormorava «Ma dal momento che ho chiesto perdono...»

Fu condotta al patibolo con le forme prescritte dal Codice francese. In un apposito articolo che dice così «Il colpevole condannato a morte per parricidio verrà condotto sul luogo dell’esecuzione in camicia, a piedi nudi, e la testa coperta da un velo nero» (Si badi che tale articolo è ancora in vigore). Una folla enorme era accorsa ad assistere al supplizio. Mentre saliva la scaletta la condannata ripeteva: «Ma ho chiesto perdono. Mia madre era così vecchia... Ho chiesto perdono». Alle ore 7 di quel lontano mattino giustizia era fatta.

Mario Rocca”





Nessun commento:

Posta un commento

Grazie per il gradito commento.